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Non siamo centristi “infiammati” per Meloni, passa da lei il progetto di centrodestra (senza trattino)

Dal sito Huffingtonpost del 26.08.2022 ore 10.56 – clicca QUI per l’articolo originale di Gianfranco Rotondi

Un autorevole settimanale mi iscrive tra i “centristi infiammati”, ossia tra i democristiani e liberali folgorati sulla via del previsto trionfo della fiamma melaniana. È una polemica prevedibile e prevista, tant’è che sono subito qui a spiegare come mai tanti moderati sono sostengono Giorgia Meloni: e non parlo solo di Crosetto e Fitto, che già c’erano, bensì di Tremonti, Pera, Brambilla, Roccella, oltre che del sottoscritto e della lista meloniana di complemento, quella dei centristi Lupi, Cesa, Toti e Brugnaro.

Capisco il giochino di evocare la fiamma, ancora presente nel simbolo dei Fratelli d’Italia, e il paradosso di immaginare gli ultimi titolari dello scudo crociato democristiano “infiammati” da Meloni. Onestamente, però, non si può leggere la politica di oggi con strumenti interpretativi così antichi: fiamme e scudi rinviano all’Italia dell’altro ieri, archiviata dalle elezioni politiche del 1994. In questi ventotto anni alcune cose sono successe.

I miei censori non hanno letto il mio ultimo libro “La variante Dc”. In esso racconto la fine della Democrazia Cristiana, e la difficile, infinita e non ancora avvenuta successione del centrodestra nel ruolo stabilizzatore del partito cattolico. In questi anni abbiamo avuto il berlusconismo, un fenomeno per molti versi prodigioso, tranne che nell’esito richiesto da noi democristiani, ossia la nascita di un partito moderato di massa.

Il solo tentativo fu il “Popolo delle libertà”, nato dall’unione di An, Forza Italia e Dc, nel 2008, e non a caso subito balzato a percentuali elettorali da grande Dc. Ecco, era quello il momento in cui ci si doveva chiedere conto della nostra unificazione con la destra; e avremmo risposto che si trattava di un processo speculare alla contaminazione dei popolari con gli ex Ds nel Partito democratico. In quegli anni si giocò il tentativo di una ristrutturazione del sistema, con due partiti a vocazione maggioritaria a destra e a sinistra.

Non erano alle viste l’antipolitica, il grillismo, i governi tecnici. Allora Meloni già c’era: era ministro, vicepresidente della Camera, leader dei giovani del partito. Nessuna la interrogava sulla fiamma, nessuno le parlava di fascismo, anzi la invitavano dappertutto, a Capri dai giovani industriali e addirittura a Genova al gay pride. Poi è successo che il Pdl si è disarticolato, e a Berlusconi fu suggerita l’idea di rifare Forza Italia, lasciando a Meloni il compito di organizzare un partitino satellite più o meno di destra. Giorgia accettò la sfida ed è finita come vediamo, con Forza Italia al minimo storico e il partito satellite nei dintorni delle percentuali del Pdl.

Si può dire che Giorgia è stata più brava? Se i ministri di Berlusconi sono quasi tutti candidati con lei, si può dire che di fatto il Pdl lo ha ricostruito lei da sola? Più che l’opportunismo italico, il nostro sostegno a Giorgia Meloni racconta l’opportunità di riprendere il progetto di un partito di centrodestra senza trattino, una grande forza di massa speculare al Pd, ma infinitamente più forte, perché poggiata sulla inclinazione naturale del ceto medio, piuttosto che sulla narrazione un po’ stantia del patto costituzionale tra cattolici e comunisti.

Non siamo centristi infiammati, ma un popolo in cammino da ventotto anni verso la terra promessa. E su di noi campeggia l’antica spiegazione di Carlo Bernini, indimenticato, intelligentissimo doge della balena bianca veneta: “un democristiano vota così” spiegava Carlo ai giovani che nel 1993 lo interrogavano sul futuro “prima guarda dove sta la sinistra, poi si gira a vedere se qualcuno la combatte e può batterla, e vota là”. Era in fondo questo il motivo per cui un tempo gli elettori di destra votavano per la Dc ed oggi tanti democristiani sostengono la destra.

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