Pre Loader

Programma

Partito politico

Verde è Popolare

Riqualificazione edilizia pubblica e privata non storica, mediante rottamazione, ai fini di una rigenerazione edilizia, infrastrutturale e urbana attenta ai temi ambientali e sociali.  L’Italia possiede un grande patrimonio immobiliare e artistico-monumentale, una vasta parte del quale è oggetto di vincoli in virtù di un valore storico, ambientale e culturale da salvaguardare. Vi è tuttavia una significativa porzione di tali beni immobili che ricade in vincoli di tutela pur non possedendo le caratteristiche di cui sopra e che per svariate ragioni versa in condizioni critiche. Si tratta di manufatti edilizi, infrastrutture, aree urbane, che per effetto di varie forme di degrado oggi costituiscono un criticità che può arrivare mettere a rischio persino la sicurezza delle persone: ne sono testimonianza estrema il crollo del palazzo di Roma del 1998 (realizzato in cemento armato negli anni ’90), il crollo verificatosi a Palermo di pochi mesi dopo, quello di Foggia del 1999, il tragico e recente cedimento del ponte Morandi a Genova, oltre ai molteplici crolli registrati nei frequenti eventi sismici che hanno colpito il nostro Paese (da quelli oramai datati del Friuli e dell’Irpinia fino ai più recenti terremoti dell’Aquila, Amatrice, Umbria, Marche, Emilia Romagna).

È pertanto necessario agire come segue:

  • Svolgere indagini su larga scala per mappare (ad integrazione e aggiornamento delle Carte già esistenti) le aree di rischio idrogeologico- ambientale, sociale e di sicurezza delle persone;
  • Definire un piano di azioni che caratterizzi le modalità di intervento (rigenerazione, demolizione e ricostruzione);
  • Individuare gli strumenti più appropriati per guidare le azioni di cui al punto precedente, selezionando quali specifici protocolli implementare per una corretta progettazione, costruzione e gestione di edifici, infrastrutture e quartieri, nell’ambito degli standard riconosciuti a livello internazionale) che includano obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale, attenzionando anche i temi di salute e benessere delle persone. Tra questi si citano a titolo esemplificativo i protocolli LEED®, WELL Building Standard®, BREEAM® ed Envision®;
  • Avviare queste procedure d’intervento, a partire dai protocolli di cui al punto precedente, quale strumento di definizione degli obiettivi primari e di controllo del processo.

Quanto di cui sopra permetterebbe:

  • la riqualificazione edilizia, infrastrutturale e urbana del nostro Paese, con evidenti benefici di carattere ambientale, sociale ed economico;
  • il rispetto dei 17 obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite;
  • una maggiore competitività del Paese ed una capacità maggiore di attrarre operatori (investitori, turisti, sviluppatori, imprese, …).

Riformulazione e rifinanziamento della legge 285/77 (c.d. Legge Anselmi-Berlinguer) sull’occupazione giovanile per “incentivare l’impiego straordinario di giovani in agricoltura, artigianato, il commercio, industria, salute, sanità e servizi, svolto da imprese individuali, associate, cooperative o consorzi e enti pubblici economici”. Venne finanziata per il triennio con 1.060 miliardi di Lire. Oggi potrebbe tranquillamente essere rifinanziata con i fondi destinati al reddito di cittadinanza, una legge che non crea occupazione ma si limita prevalentemente ad una forma di assistenzialismo fine a sé stessa e che in molti casi ha incentivato il lavoro nero. La spesa per i pochi posti di lavoro creati con il reddito di cittadinanza (152.000 navigator) ha un costo pro capite pari al doppio di quello necessario (inclusi oneri previdenziali ed assistenziali) per un posto di lavoro full time (costo medio di 25.000 euro annui). Se la spesa complessiva per il reddito di cittadinanza è di 579 euro in media pro capite per 3.500.000 beneficiari, la disponibilità sarebbe di 2.026.500.000 euro mese e quindi 24.318.000.000 annui, con i quali si potrebbero creare 972.720 posti di lavoro in grado di consentire una dignitosa soluzione per altrettanti nuclei familiari. I nuovi posti di lavoro potrebbero essere dedicati ai settori ove maggiormente si riscontra una carenza, quali l’assistenza agli anziani, il settore sanitario, la riqualificazione digitale, la sicurezza, l’ambiente e l’accoglienza alle popolazioni migranti e di profughi.

Una visione ambientale sostenibile è il necessario compromesso per salvaguardare l’ambiente e nello stesso tempo per non deprimere l’economia. Ormai sappiamo che è inutile tentare di realizzare progetti complessi e di costo elevatissimo che abortiranno strada facendo per la scarsità di risorse finanziarie. Occorre rivedere le scelte fatte negli ultimi decenni in tema di smaltimento e riciclaggio dei rifiuti, attraverso un immediato aumento degli indici di raccolta differenziate (richiamando con ogni mezzo tutti i Comuni ad ottemperare) e conseguente riciclo dei rifiuti prodotti. Questo richiede:

  • L’implementazione di infrastrutture urbane che permettano ai cittadini la piena accessibilità ai punti di raccolta differenziata, sia ad una campagna educativa su larga scala, con sistemi di premialità sulle tariffe comunali per i cittadini virtuosi, volta a promuovere la differenziazione e il riciclo. 
  • Un corretto utilizzo del rifiuto separato, nel quadro di soluzioni innovative (già disponibili e brevettate) che ne permettano un pronto riuso per funzioni diverse, andando così ad abbattere il costo economico, sociale e ambientale derivante dal dover ricorrere a materiali vergini, che spesso sono di importazione e rendono il nostro Paese dipendente da altri. Se da un lato il massivo ricorso ai termovalorizzatori non rappresenta una soluzione in linea con gli indirizzi europei, giacché essi sono normalmente impiegati in poche unità in altri Paesi europei per quel minimo quantitativo non altrimenti destinabile, in Italia continuiamo ad accumulare rifiuti in discariche ormai sature che inquinano le falde acquifere. Abbiamo grandi ritardi nel riciclaggio dei polimeri in nuovi materiali, come pure siamo in grande ritardo nella raccolta differenziata e spesso quando viene fatta da cittadini diligenti si scopre che tutto in nostro sforzo riconfluisce in uno smaltimento finale indifferenziato a causa della incapacità degli enti preposti di gestire la raccolta e di far confluire i prodotti differenziati ai centri di stoccaggio e riciclaggio attrezzati. Continuiamo ad esportare rifiuti organici e plastici all’estero a prezzi elevatissimi per poi riacquistare i prodotti del riciclaggio dei nostri rifiuti. Tutta la politica dei rifiuti va rivista nell’ottica di una scelta consapevole del male minore tra le diverse soluzioni realisticamente adottabili, come i termovalorizzatori, in relazione alla capacità organizzativa delle amministrazioni locali ed alla sostenibilità economica di tale scelta.

Il processo di decarbonizzazione delle nostre comunità è oggi strategico, divenendo una sfida da cogliere con la definizione di strategie di compensazione ambientale atte a bilanciare le emissioni generate. Tra le varie azioni di compensazione che possono essere considerate vi sono le azioni di rinverdimento delle aree urbane con massicce campagne di piantumazione di alberi in grado di assorbire quantità di CO2 misurabili, nonché la restituzione di spazi alla natura (contrastando il consumo di suolo/territorio e migliorando la qualità della vita delle persone), la creazione di infrastrutture sociali orientata alla riduzione dei consumi energetici e alle relative emissioni (puntando sulla diffusione ubiquitaria del fotovoltaico), il progetto di una mobilità alternativa, condivisa e a basso impatto ambientale (ivi compreso il passaggio su rotaia di vasta parte del trasporto merci su gomma), con ricadute positive sulla salubrità dell’aria e benefici sulla salute umana. Questi passaggi sono tanto più necessari in quanto l’Italia settentrionale è una delle aree europee con maggior impatto dell’inquinamento atmosferico (che costa al nostro Paese anche una perdurante procedura d’infrazione UE) e sono circa 84.000 i decessi attribuiti per l’Italia ad esposizioni croniche ad inquinanti atmosferici dall’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Rimozione degli ecomostri e bonifica dei territori a maggiore inquinamento ambientale (terra dei Fuochi, area ex Montedison di Bussi ed aree del settore petrolchimico, acciaieria di Taranto ecc). L’edilizia selvaggia della seconda metà del XX secolo, fino ai giorni nostri, ha visto sorgere numerosi ecomostri, costruzioni che deturpano l’ambiente e riducono il valore ambientale e turistico di intere zone, molti dei quali, bloccati dall’intervento della magistratura in corso d’opera, risultano oggi solo esempi di degrado e abbandono. Si tratta di strutture che devono scomparire nel più breve tempo e certamente la loro eliminazione porterà un vantaggio economico ad aree di pregio con un rientro in termini di turismo sicuramente superiore alla spesa necessaria per il loro abbattimento e smaltimento. Ugualmente occorre bonificare le aree a maggiore inquinamento (i cosiddetti Siti di Interessa Nazionale, SIN), ove l’incidenza di malformazioni o malattie nella popolazione residente è particolarmente elevata ed in relazione con la situazione ambientale.

Le scelte energetiche del nostro Paese hanno comportato una rinuncia incomprensibile alla ricerca di fonti energetiche proprie. Non abbiamo scavato pozzi petroliferi sia in mare che sulla terra ferma, l’estrazione di gas naturale è insignificante, nella produzione di energia elettrica siamo rimasti al tempo delle dighe, strutture di grande impatto ambientale che al momento non riescono anche per cattiva gestione a fronteggiare la crisi idrica e che costituiscono un rischio continuo per gli abitanti dei comuni posti a valle. Comunque si tratta di strutture assolutamente insufficienti rispetto alle esigenze energetiche italiane. La produzione eolica, geotermica e fotovoltaica ha enormi margini di crescita anche se talora non priva d’impatto paesaggistico-ambientale. Abbiamo preferito ricorrere all’approvvigionamento all’estero dell’energia che ci occorre, portando la bolletta energetica alle stelle e correndo il rischio, oggi purtroppo più certezza che rischio, di rimanere senza energia, posto che il 70% circa del nostro fabbisogno dipende dall’estero. Abbiamo chiuso molte centrali a carbone per evitare emissioni inquinanti della combustione ed oggi già si parla di riaprirle. Non abbiamo scelta: dobbiamo riconquistare l’autonomia energetica ed invertire l’attuale rapporto, ricorrendo all’estero per non più del 30% del nostro fabbisogno energetico anziché per il 70% come oggi. Per farlo bisogna puntare su un’oculata programmazione delle fonti rinnovabili e un ampliamento delle estrazioni delle fonti di gas di cui il nostro Paese dispone, accompagnando tutto ciò con una reale attenzione alla prevenzione dell’inquinamento e alla tutela della salute umana e ambientale.

Vi sono opportunità strategiche per operare in tale senso.

  • In prima battuta la riduzione della domanda energetica, a partire dall’adozione di protocolli di risparmio sui luoghi di lavoro (come quello Yougreen) attraverso l’efficientamento del patrimonio immobiliare e infrastrutturale e l’educazione delle persone al risparmio energetico, attraverso campagna di sensibilizzazione pubbliche a diversi livelli, a partire dall’educazione scolastica;
  • In seconda battuta incentivare e diffondere la produzione di energia da fonti rinnovabili attraverso operazioni di sistema, quali le comunità energetiche: strumenti in via di consolidamento che aiutano nel perseguire obiettivi di neutralità carbonica.

La formazione è un valore sociale, culturale, economico e rappresenta uno degli elementi fondamentali per il rilancio dell’economia italiana. Negli ultimi decenni è emersa in modo evidente l’inadeguatezza della classe dirigente. È necessario riscoprire il valore economico della formazione ed investire nel settore con un piano pluriennale articolato, che non escluda le classi sociali più disagiate e sia orientato all’inclusione delle disabilità e delle diversità etniche, linguistiche e religiose. In quest’ambito è necessario invertire l’approccio top-down dei corsi proposti dai livelli centrali, ma raccogliere direttamente le esigenze formative dalle aziende, in modo da andare incontro ai reali bisogni del mondo e del mercato del lavoro per aumentare la produttività ed incrementare i posti di lavoro.